Bambino gracile all’apparenza e di famiglia proletaria, Paolino gioca a calcio tutti i giorni nei campetti dell’oratorio della sua città. Prato. Il talento si nota e, appena quattordicenne, viene chiamato a giocare nella giovanile della grande Juventus, che lo costringe a trasferirsi da solo a Torino. Si rompe il menisco per tre volte all’inizio di una carriera che rischia di non cominciare mai. Dopo essere diventato capocannoniere e aver fatto impazzire l’Italia ai Mondiali in Argentina, duranti i quali entra nei cuori di tutti con il soprannome di Pablito, la sua carriera subisce nuovamente una battuta d’arresto: viene investito dalle accuse del brutto affaire del calcioscommesse. Seppur assolto dal tribunale, la giustizia sportiva lo condanna a due anni di assenza dai campi. Subito dopo, però, Enzo Bearzot, che lo ama e lo stima da sempre, lo porta senza esitazione in Spagna a giocare quel Mondiale dell’82 che tutta l’Italia ricorda.