Diciannove persone sono nascoste e in fuga in un buco largo sei metri e lungo otto. È una porzione di terreno scavato probabilmente per le fondamenta di una casa. Terra, qualche calcinaccio e sacchi di cemento che gli abitanti del buco usano come riparo, giaciglio. Sulla parete a sud si affaccia un tubo dal quale esce un rivolo d'acqua; una grande ruspa con la benna immobile si staglia sul cielo, ed è il cielo l'unica visuale permessa ai 19 fuggiaschi. Già, perché tutti loro hanno un grosso problema: non appena mettono fuori il naso dalle basse pareti che circondano il buco, vengono metodicamente falciati da precisi colpi di mitragliatrice. Non sanno chi li tiene lì, chi non viene a stanarli, chi si diverte in un gioco al massacro; sanno che devono camminare a carponi, strisciare e non alzarsi mai nella posizione eretta così normale e rassicurante. E i 19 comunque vivono, interagiscono tra loro, scatenano sentimenti irrazionali, litigano, organizzano la fuga, si amano, fanno amicizia. Non si sa molto del perché sono lì. Una guerra? Bande armate che si sono scatenate nella zona? Sadici assassini? Brandelli di dialoghi raccontano il passato del gruppo: la loro vita prima del buco, le cose o le persone lasciate bruscamente al momento della fuga… Ma è soprattutto il tempo presente che importa: una malinconica, nevrotica, amara e paradossale realtà.