Dalla Tanzania all’Uganda, Pier Paolo Pasolini percorre l'Africa cercando i corpi e i luoghi per un film in forma di ‘film da farsi’, liberamente ispirato alla trilogia dell’Orestiade di Eschilo. L’Africa, che negli anni Sessanta stava dolorosamente uscendo da secoli di colonialismo, è vista da Pasolini come lo spazio di un processo di metamorfosi dal mondo arcaico alla modernità, dove l’irrazionalità primigenia deve coesistere con il “nuovo mondo della ragione”. È la voce dello stesso Pasolini a guidare lo spettatore in un itinerario filmico che assume una natura eterogenea e ‘impura’ di saggio per immagini, analisi antropologica e diario di viaggio, con squarci visionari e poetici. Le immagini girate dal poeta-regista sui “silenzi profondi e paurosi” dell’Africa si confrontano a violente sequenze documentarie sulla guerra del Biafra, a un esperimento musicale con Gato Barbieri “nello stile del jazz”, a brani di rituali primitivi funebri o gioiosi.